Agosto 26th, 2009

Diario trevigiano

a cura di Franco Piol 

Scritto da Diego Cacchiarelli   
Martedì 25 Agosto 2009 23:26

Facciamo parlare i fatti 

Come anticipato nell’articolo precedente, mi inoltro in un’analisi oggettiva e direi anche piuttosto semplice da capire in cui dimostrerò che gli scarsi risultati dei nostri atleti di questi ultimi anni sono da attribuirsi alla scarsa capacità gestionale da parte dei politici federali che si occupano del settore tecnico.Qui in basso ho costruito una tabella in cui, per ogni edizione del mondiale, evidenzio il Presidente, il CT e i consiglieri delegati al settore tecnico. A questi nominativi ho poi abbinato il numero delle medaglie, i finalisti e di conseguenza i relativi punti acquisiti per ogni edizione del mondiale. 

Sono numeri che parlano da soli:

le peggiori tre edizioni dei mondiali sono state le ultime tre, quelle a guida Arese con Silvaggi e Uguagliati come CT e come consiglieri delegati Morini e Nasciuti.

Di contro e tenendo fuori il mondiale di Roma ‘87 per i motivi che tutti conosciamo, i tre mondiali in assoluto migliori sono stati quelli a guida Gola con CT Pochio e Lenzi e con consigliere delegato Giomi.

L’assoluta identificabilità e contiguità dei tre peggiori e dei tre migliori mondiali non lasciano spazio ad alcuna fantasia interpretativa: quei dirigenti sono stati i più bravi, quelli attuali sono i meno bravi. Torno a sottolineare che pur nella consapevolezza che ogni momento storico ci offre situazioni diverse di atleti, di tecnici, di chi è in forma, di chi è infortunato e altro ancora è comunque lampante che una coerenza statistica come quella evidenziata nella tabella, non è casuale.Se il Coni e i consiglieri federali Fidal hanno davvero a cuore l’Atletica italiana, varrebbe la pena che questi, prima di rinnovare fiducia e sostegno al Presidente Arese e alle sue strategie, dessero uno sguardo a questa tabella. Noi, da parte nostra, per approfondire ancora di più l’argomento e nei limiti del possibile, ci proponiamo di interpellare questi attori, passati e presenti per chiedere loro una testimonianza diretta e precisa di come è avvenuta la gestione del settore tecnico.

Su “Atleticanet” vedi la tabella comparativa

  

Howe: “Dirigenti incapaci.

Poi mi vietano i reality”

 L’azzurro si ribella dopo il no alla “Tribù”. Le facce degli altri sono allegre, le nostre tristi. Ma lo sport non è una caserma. Mi deve guidare chi non sa gestire l’atletica?  

di EMANUELA AUDISIO

   andrew_howe3.jpg 

Niente video. L’atletica azzurra, dopo la brutta figura ai mondiali, mette i suoi campioni in punizione. Anche quelli infortunati. Niente tv per Andrew Howe (in foto andrewhowe.it), saltatore azzurro, andato male a Pechino e assente a Berlino. Non potrà andare al reality “La Tribù-Missione India”, in onda dal 16 settembre su Canale 5. A dire no, all’ultimo momento, con un divieto improvviso è stato il gruppo sportivo militare dell’Aeronautica, ad accordo già firmato. Howe, 24 anni, nato a Los Angeles, cresciuto a Rieti, doveva essere il personaggio principale insieme a Emanuele Filiberto di Savoia. Il contratto gli garantiva tutte le richieste d’atleta: palestra con panca e bilanciere, fisioterapista, medico, 30 minuti di telefonate gratis con il tecnico ogni due giorni, cibo speciale, dieta, carne magra bovina, due volte a settimana. Howe, è dispiaciuto?
“Sì. Se potessi campare mangiando la sabbia lo farei, ma non posso. Per me era anche un’opportunità economica, visto che mi hanno dimezzato la borsa di studio. Tra l’altro io mi devo operare al tendine e sarei andato in India convalescente, non perdevo grandi giornate di allenamento. In più avrei dato visibilità all’atletica, visto che a Roma l’ultima volta mi hanno preso per un tennista. Si vede che devono trovare un colpevole alla figuraccia fatta dall’Italia a Berlino, nemmeno una medaglia, al contrario del nuoto. Allora come i bambini puntano il dito sugli altri, scaricano la colpa su di me, infortunato da due anni. Non lo trovo il massimo dell’eleganza. Se sono malato, lo devo a loro, che hanno fatto finta di niente, né si sono degnati di farmi un colpo di telefono”.

Che fa: accusa?
“Ho fatto esattamente quello che mi hanno detto di fare, ho accettato i loro programmi, ho seguito i loro consigli. Sono rientrato troppo presto e a Mosca mi sono fatto male. Ora mi colpiscono alle spalle, mi attaccano dopo che ci eravamo messi d’accordo, io non ci sto. Si comportano come maestri di un vecchio collegio: zitti e obbedire. Ma lo sport non è mica una caserma. Avete visto le facce degli altri? Di quelli che vincono? Allegre e divertenti, le nostre sempre tristi e penose. Viviamo nel dramma. E’ un problema di approccio mentale, da noi manca la serenità, la leggerezza. Tutti sono sempre pronti a scannarti, così l’atleta ha paura, dell’allenatore, della stampa, della società, di ogni ombra. La frase preferita è: il tizio è irriconoscibile. Oggi sei un dio, domani un somaro”.

Dicono che si dovrà dare una regolata.

“Ma se la diano loro, federazione e Coni. Io finora sono stato troppo buono. Avessi fatto di testa mia, mi sarei trasferito in America e avrei gareggiato lì. Anzi, già che ci siamo: perché dovrei farmi gestire da loro, visto che non riescono a gestire l’Italia? Dove sono i loro buoni risultati? Fanno teoria, ma la pratica? Io sono supervisionato da quattro persone: da Claudio Mazzuffo per i salti, dal coordinatore Nicola Selvaggi, da Carmelo La Cava per i pesi, e da mia madre René. Mi hanno imposto di non puntare più sulla velocità. Peccato che ai mondiali l’americano Phillips sia tornato a vincere proprio curando lo sprint. Allora sapete cosa vi dico? Io dall’anno prossimo corro 100 e 200 metri, perché ho voglia e passione di far girare le gambe, e vediamo chi mi ferma. Oh, io da junior facevo 20″28″.

Si lamentano che il centro federale di Formia sia deserto.

“Un atleta ha il diritto di stare dove vive e si allena meglio. E per me non è Formia. Per carità, nessun problema, se devo andarci in ritiro per una settimana. Adoro Formia, ma non è casa mia, né mai lo diventerà”.
In più Bolt vuole provare il lungo.
“Lo ammiro, ma è meglio che non ci provi. E’ una specialità troppo traumatica, e con la sua velocità d’entrata che sarà di 12 metri al secondo, rischia di mettere male il piede. Ora pare che Bolt non abbia più confini, sui 400 gli accreditano 41″. Magari quel tempo ce l’ha nelle gambe, ma non sarà semplice farlo, sempre che ci provi. Quanto al salto in lungo, li lasci a me i 9 metri. Però applaudo i paesi caraibici, sono stati capaci di valorizzare i loro atleti, di farne davvero degli ambasciatori”.
E l’Italia invece?
“Li disprezza i suoi atleti. Li usa quando fanno comodo, poi se ne sbarazza. Non mi risulta che Schwazer, io e tanti altri, siamo mai stati usati per campagne di sensibilizzazione, per fare arrivare più giovani all’atletica, nessuno ci ha mai chiesto di andare nelle scuole o di pubblicizzare il nostro sport. Come li porti i giovani in pista, se non sai nemmeno dove trovarli? Ma per l’atletica italiana il grande peccatore sono io, così niente tv e niente guadagno. Io però non faccio il calciatore, non ho il portafoglio gonfio, non ho contratti da 8 milioni di euro a stagione. La differenza tra me e chi mi accusa è che io la fame l’ho fatta per davvero, so cosa si prova, invece loro no. Io me la ricordo ancora mia madre che metteva duemila lire nella Bibbia, era tutto quello che aveva. E lo stress economico non fa bene a uno sportivo”.
Deluso?
“Molto. Dai finti buoni che si rivelano veri cattivi. Da chi mi dice che sono come un figlio per lui. Evitasse, ho madre e padre. Io voglio solo tornare a correre, sorridere, e regalarmi qualche soddisfazione. Del fallimento dell’Italia mi dispiace, ma io non c’entro”. Fonte: repubblica.it
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Da “ WEB Atletica”

  

Italia: Ma Arese ha fatto sei al Superenalotto?

 Porca vacca: cerchiamo tutti il vincitore multimiliardario a Massa Carrara, ed invece era lì, davanti a tutti, in diretta Tv da Berlino col musone triste a difendere ancora una volta la sua Italia, e il fatto che non siamo la Nuova Zelanda (che porta 5 atleti e vince un oro… che culo!) ma la sfortunata Italia. Già perchè “qualche medaglia” (due o tre secondo le previsioni) la potevamo portare a casa, perchè no? Però purtroppo, per una tacita legge statistica, quando si vive sempre sui numeri bassi (uno, due, uno, due…) può capitare che arrivi lo zero. E allora sono guai. Così ecco il sei milionario di Franco Arese: non penso che esista al mondo un altro presidente di una federazione sportiva dal passato tanto blasonato, che riesca a portare un intero mondo sportivo tanto in basso con inusitata cadenza periodica e nonostante questo riesca sempre ad essere riconfermato (o a non mettersi quanto meno in discussione… poteva almeno far finta di dimettersi, no?). Se non è un sei questo?!! Comunque sia, quella di Berlino non è una sconfitta di un solo uomo, Franco Arese. E’ la sconfitta, come dicevo l’altro giorno, dell’intero sistema-Italia dell’Atletica leggera: quello voluto ed incarnato non solo dallo stesso Arese, ma da una bronto-oligarchia composta da una commistione tra alcune società sportive civili e alcuni dirigenti federali che già nel 2004 aveva favorito la sua prima elezione, e che, incredibilmente, nonostante quattro anni di schiaffoni e bastonate mondiali ed olimpiche, ha fatto in modo di essere perpetrata per altri 4 anni. Omicidio preterintenzionale o omicidio volontario? Diciamo colposo all’inizio, preterintenzionale durante, decisamente volontario negli ultimi due anni.
Ma non vi fanno ridere le estrapolazioni numeriche che come avevo pronosticato, avrebbero provato che la trasferta tedesca sarebbe stata positiva? 22 punti, contro i 19 di Helsinki: addirittura più finalisti che a Pechino. Un trionfo dell’atletica italiana!
Ragazzi, su dai, non ci prendete in giro: a Helsinki e Pechino il presidente era ancora Arese, o sbaglio? Arese allora ha fatto meglio di Arese? Ridicolo. Se poi in Fidal vogliono fare il conto dei punti, tanto per trovare qualche aspetto positivo, fate pure questo: il totale dei punti ottenuti, diviso quello degli atleti schierati a Berlino: allora sì che si ottiene lo spessore statistico di una nazione. Quindi 22 diviso 35: viene fuori un numero con uno zero/virgola davanti. Bravi! Se poi anche il Prof Uguagliati, DT dell’armata brancaleone e persona molto intelligente, si presta al giochetto di salvare il salvabile senza utilizzare quei toni tipicamente giapponesi di profonda prostrazione che, pur non dando soddisfazione alla platea, saziano la sua sete di sangue ingraziandoti il pubblico, vuol dire che è proprio una Federazione che gira male. Per Ugugagliati la trasferta è stata “appena sufficiente“… Dai, su! Si stanno paragonando risultati ottenuti in una manifestazione, con altre manifestazioni che a suo tempo erano state già definite fallimentari. E il filotto di manifestazioni fallimentari, scusatemi se sbaglio, è iniziato proprio nel 2005: chi era allora che guidava la baracca?
Meriterebbe 10 Schwazer per essere stato l’unico a dirlo: “mi vergogno per quello che ho fatto“. No, Alex, tu non ti devi proprio vergognare di nulla, anzi. E’ l’umiltà che completa il campione: è quell’aspetto che ti mancava per consacrarti. Piuttosto: è pensare che un intero gruppo di persone viveva esclusivamente sulla sua medaglia scontata che deve fare vergognare qualcun’altro.
Tornaimo a noi. L’
obiettivo nemmeno tanto nascosto del 6° mandato Arese (in Giappone, paese patria dell’onore, al suo posto si sarebbero già dimessi 4 volte, poi aggiungeteci le due rielezioni…) sarà la medaglia ad ogni costo. Dalla sua parte avrà anche il CONI di Petrucci che pur bacchettandolo pubblicamente, lo incensa per la sesta volta, perchè è una persona seria, un manager (ma Petrucci quanto sa di quanto è cambiata l’atletica in meglio in Italia negli ultimi anni?). Vabbè: Arese-sei. Era un mezzofondista di prima classe, abituato a resistere tanto.
Sono un pò inquieto, però, lo confesso. Mi inquietano le dichiarazioni di Arese. Non mi fanno star tranquillo. Si va di fretta:
servono risultati subito! Così in questo ri-programmare tutto il baraccone Fidal verso l’obiettivo, tutto il resto (chiaramente) verrà momentaneamente abbandonato. La scuola dà fastidio solo a sentirla nominare: sempre ’sta scuola e ’sti giochi della gioventù! Insomma, non si può “pretendere la luna“! I passi da fare lui li ha fatti, (sembra voler dire) e poi, scusate, se l’Italia deve vincere le medaglie nel 2012, chi diavolo esce dalla scuola ed in così poco tempo (solo 3 anni!) riesce ad essere quel Campione che si impone domani alle Olimpiadi? Nessuno, chiaro. Perdiamo tempo. Perdiamo tempo.
Quindi presumo che la scuola non sarà più una priorità. Presumo ancora che si concentreranno su quello che hanno adesso: lasciano ai posteri “
stupidate” come la diffusione dell’atletica (evidentemente la Federazione di Atletica si è dimenticata della missione educativa di questo sport, prima ancora che di pubblicità relativa alle medaglie), a coltivare un campione statistico che permetta di trovare periodicamente 4/5 campioncini ogni 3 o 4 anni. Chissenefrega!! Medaglie, medaglie… parlano solo quelle (del resto la citazione sulla Nuova Zelanda e la sua medaglia d’oro è sintomatica).
Quindi, si rimboccherano le maniche. Chi? Mah: chissà chi laddentro ci mette delle idee, chi invece è lì solo per rappresentare sè stesso, e chi, invece, semplicemente dorme aspettando di farsi qualche trasferta in carrozza.
La mia inquietudine diviene terrore cieco quando si tirano in ballo
le società sportive militari. ANCORA LORO?? Sì, sì, ancora loro. E quando qualcuno della Fidal parla di loro in termini negativi (sulla Gazzetta mi sembra che si parlasse del fatto che ci sono fenomeni di statalismo da combattere all’interno dei vari gruppi militari) c’è probabilmente qualche progetto di ulteriore limitazione. Non vorrei essere nei panni di qualcuno di quegli atleti cui si abbatterrà quest’altra mannaia. E non oso pensare a cosa si possa tradurre questo cattivo “pensiero” di Arese. Io dico solo questo: in assenza di capitali che investano sull’atletica in maniera stabile e duratura, lo Stato rimane l’unico sponsor che possa permettere un’attività sportiva di vertice. C’è chi dice che non si dovrebbero pagare gli atleti, visto che sono soldi dei contribuenti. Io che inizialmente la pensavo così, mi sono ricreduto: lo sport è veicolo di un messaggio positivo. Un atleta che vince (pensiamo alla Vezzali) è un investimento d’immagine. Porta i giovani ad avvicinarsi allo sport. Se poi abbracciano quello sport, il più è fatto: lo Stato ottiene dei cittadini più predispoti a rispettare le regole. Vi pare poco?
Comunque sia: e le squadre civili? Intoccabili, come sempre. A loro tutto è dovuto, ed in cambio non sembra che riescano a fornire molto materiale umano o che riescano a sovvenzionare un atleta per renderlo sufficientemente indipendente. Evidentemente se non le si tocca, è perchè hanno dato qualcosa… in cambio di qualcos’altro. Sembra impossibile e poco logico pensare al contrario.
Mi permetto:
la politica del risultato ad ogni costo, nel passato, ha prodotto delle aberrazioni. Porcherie, chiamiamole così. Non staremo prendendo quella strada?
In quest’ottica concentriamoci solo su una cosa. Le medaglie. 20 atleti, sembrerebbe. Super-atleti. Concentriamoci su quelli. Paghiamoli, assisitiamoli. Coccoliamololi. Ma… Signor Presidente, e il resto dell’atletica italiana?
Chissenefrega! Scusi, i cadetti, gli allievi…i master… Chissenefrega!
Ma scusi, signor Presidente, ma il frutto del lavoro dei suoi precedenti 5 anni
dov’è finito?
Mi spiego meglio: molti dei più grandi atleti assurti sul palcoscenico mondiale hanno un’età tra i 20 e i 23 anni. Vuol dire che nel momento in cui Arese si insediò (5 anni fa) avevano 15, 16 o 17 anni: i cadetti o gli allievi o massimo junior di quegli anni della prima incoronazione. Secondo voi, non c’è stato un solo talento italiano in quesi 5 anni tale da potersi vedere su un palcoscenico mondiale da protagonista? Se ci sono anche stati si sono probabilmente persi o non valorizzati. Magari umiliati, inseriti in progetti che in realtà erano solo “elargizioni” di denaro senza costrutto.
Togliamo poi la specialità della marcia dalle more dai successi da lui previsti, in quanto rappresentativa di un mondo a sè stante nel panorama atletico italiano. La Di Martino preesiteva all’avvento di Arese. Gibilisco preesisteva all’avvento di Arese. la Cusma preesisteva all’avvento di Arese. Ciotti preesisteva all’avvento di Arese. Ma chi cavolo ha portato Arese a Berlino che è frutto di una sua azione di crescita e “semina”? Poi c’è Howe… che storia triste. Triste per il ragazzo Andrew, più che per l’atleta Howe. Viene trattato al pari di un oggetto, una magic box che sembra che tutti vogliano usare e sfregare a loro piacimento. Adesso Arese ci va pure a muso duro: si decida, perdinci!! Ma lui, il suo sentimento? Ma si diverte ancora così? Ma è sport questo? Se mai leggerai queste righe, Andrew, posso suggerirti una cosa: vattene da questo mondo, e vivi la tua vita come tu credi. Suona, canta, sii felice. L’Italia atletica non deve essere una persona infelice. Se invece ti diverti ancora, fai quello che veramente vuoi e che ti diverte veramente. E manda a quel paese quelli che ti mandano a correre in una specialità quando per tutta una stagione ti sei preparato per un’altra.Per concludere: nel post elezioni federali, si vociferava che pur sorpresi dall’elezione bulgara, per consolarci ci si diceva che qualche volto nuovo era entrato. Qualche ventata di novità ci sarebbe stata. Dubitavo già allora, a ragione, figurarsi adesso. Non una voce fuori dal coro. Almeno: non si sentono e non si vedono. E così ho avvalorato ancora una volta la mia tesi che nelle organizzazioni umane, se si sostituisce un ingranaggio con un altro, a meno di essere dei rivoluzionari con la volontà di apportare novità che prima inceppino il sistema e poi lo facciano girare in un altro modo, si entra in sintonia con tutto il resto dell’ingranaggio. Come sostituire una rotellina in un orologio. Ne metto una nuova, e l’orologio gira come prima. Dove sono finiti, quindi, tutti questi “nuovi”: semplicemente sono diventati parte di questo sistema triste cui non gliene frega nulla dell’atletica, ma solo che Alex Schwazer vinca le medaglia e che una ventina di atleti trovati e cresciuti da altri ottenga più di 22 punti al prossimo appuntamento mondiale. E comunque, si cambia per non cambiare, o no?
Bolt ha dimostrato una cosa: l’atletica e lo sport sono anche gioia, falicità: laddentro c’è solo molto tristezza.
Poveri loro.